Ovviamente sì: è un costo che sto affrontando da sola, perché lo considero un investimento. La salute mentale, però, non dovrebbe essere un privilegio di chi ha soldi “da investire” per stare bene: e al momento è esattamente così, perché nel nostro paese non esiste una cultura della salute che tenga insieme corpo e mente. Si cura il corpo pensando che basti, e per la mente la filosofia è “fattela passare” e “sii forte”. L'idea di fondo è che la sofferenza psichica sia una roba per fighetti, anzi, per femmine, mentre i veri maschi (e le “donne forti”) se ne tirano fuori da soli. Risultato: c'è in giro una quantità mostruosa di gente che sta malissimo e neanche se ne rende conto, oppure se ne rende conto e beve, si droga o si sfoga con la violenza. Due anni di vite recintate e paura di morire hanno aiutato? Io dico di no: ma non dobbiamo ragionare in termini emergenziali. Dobbiamo ragionare in termini strutturali: la salute mentale è un diritto individuale e un'esigenza collettiva, e quindi la collettività se ne deve fare carico. Piuttosto che ragionare di bonus, che sono sempre delle pezze, parliamo di come investire parte dei soldi del PNRR in strutture sanitarie che forniscano servizi capillari e ben distribuiti per aiutare le persone a stare bene, senza vergogna, oltre che in una comunicazione istituzionale che aiuti a rendere normale il ricorso agli specialisti nei momenti di fatica emotiva. Il check-up terapeutico dovrebbe essere disponibile come lo è quello dal medico di base, e l'assistenza psicologica dovrebbe essere fornita in maniera gratuita dal Servizio Sanitario Nazionale, con un'ampia scelta di possibilità, dalla seduta individuale alla terapia di gruppo. È uno dei tanti modi che abbiamo per uscire non solo dalla sofferenza, ma anche dalla cultura machista dello stoicismo, che fa soltanto danni.