E’ già passata quasi una settimana, ma se ci ripenso la prima cosa che mi viene in mente è la prima cosa che ho pensato quand’è successo: “E ora cosa si fa?”. Perché 11 anni da metabolizzare sono tanti e non può succedere tutto nello spazio di un pomeriggio. Inutile girarci intorno: l’Inter è parte delle nostre vite, in una misura che spesso non decidiamo noi. Certo, le relazioni, il lavoro, la possibilità di interessarsi ad altro. Cinema, arte, letteratura, economia. Qualsiasi cosa. Ma poi torniamo sempre lì, in quel rettangolo verde in cui succedono cose strane. In cui puoi urlare “CAMPIONI”, anche se tu effettivamente non hai vinto niente.
L’Inter è stata, è e sempre sarà una questione di fede – oltre concetto di retorica. E’ così e basta.
Ma parliamone di qualcosa di serio. L’Inter ha vinto il diciannovesimo Scudetto della sua storia, ma nelle parole di tutti il monito è chiaro: questo deve essere solo l’inizio. Niente smobilitazione, niente appagamento. A parte il primo, caotico anno di Suning, la dirigenza ha dato una direzione chiara a questo progetto sportivo. E al netto dei clamori mediatici, questo progetto è sempre proseguito in linea retta – guardando avanti.
E’ l’unico modo per vincere, l’unica via per la grandezza. Rubando le parole a Ettore Messina, un altro grande allenatore che sta facendo tornare l’Olimpia fra le top assolute, il focus deve essere chiaro: “Non posso essere felice e basta per aver portato Milano alle Final4. Dobbiamo lavorare per far sì che l’Olimpia alle Final4 ci sia di casa”. E traslare questo discorso da Piazzale Lotto a San Siro è un attimo: l’Inter ha solo cominciato un percorso senza scorciatoie, le cui scottature vivono ancora sulla sua pelle. Perché 11 anni non si cancellano in un pomeriggio.
Ecco perché questo è lo Scudetto di Steven Zhang, Alessandro Antonello e Beppe Marotta. A cascata, la loro leadership ha influenzato tutti gli altri ingranaggi di una macchina societaria che non è ancora perfetta – ma che sembra essersi lasciata alle spalle i tempi bui degli spifferi, dei vuoti di potere o della disorganizzazione cronica. L’Inter è diventata un’azienda, nell’accezione migliore del termine, anche se qualche passaggio a vuoto ancora c’è – e sempre ci sarà, come in ogni Multinazionale.
E’ lo Scudetto di un monumento dell’interismo contemporaneo, Lele Oriali. Non è un caso che un personaggio così sia diventato il punto di riferimento degli ultimi tre allenatori che hanno vinto lo Scudetto a Milano: Mancini, Mourinho e Conte lo hanno sempre elogiato – e per il tifoso interista è semplicemente una garanzia. Senza sapere bene quel che fa, ma consapevole che il suo compito lo svolge al meglio.
Poi arriviamo a lui, quella figura che ha polarizzato ogni tipo di discorso dal minuto in cui è stato annunciato. E’ stato lo Scudetto, inevitabilmente, di Antonio Conte: che continua a vincere con una continuità impressionante, modellando le sue idee e affidandosi all’incrollabile fiducia nel suo eccezionale lavoro – che l’ha reso membro dell’elite mondiale. 12 milioni sono tanti, ma dopo la debacle europea e gli spifferi dall’esterno non era semplice condurre la barca in porto – né tantomeno farlo con un’autorevolezza e una prova di forza come ha fatto l’Inter nel girone di ritorno. L’ho ribadito in almeno due o tre puntate, ma lo faccio anche per iscritto: 41 punti su 45 disponibili. In 15 partite, 13 vittorie e due pareggi. Una follia.
E visto che parliamo di allenatori, impossibile non rivolgere almeno un pensiero a Luciano Spalletti. L’uomo che ha iniziato a forgiare questa squadra, issando alcuni pilastri che sotto Conte hanno trovato una nuova dimensione. Un pezzetto di questo Scudetto è anche suo.
Dei giocatori dell’Inter abbiamo parlato tanto, dei loro momenti, delle loro gesta e dei loro errori. Quando abbiamo cominciato questo podcast il percorso aveva concluso la sua prima tappa, perché il 23 maggio 2018 l’Inter tornava in Champions League dopo una vita. 3 anni e 137 puntate dopo, l’Inter è Campione d’Italia.
Non credete a chi dice che era tutto facile, o tutto apparecchiato. L’Inter ha compiuto un’impresa enorme e l’ha fatto nel modo più vigoroso e rassicurante: con lo sguardo rivolto al futuro. Senza proclami, solo con il desiderio di vincere la prossima partita. Adesso ne mancano ancora 4, che saranno una lunga passerella verso il momento in cui quel trofeo tornerà in mano a un Capitano dell’Inter, dopo Javier Zanetti. Poi il calcio farà il suo solito miracolo, azzerando tutto e preparando un nuovo, lungo e intenso viaggio. Dove l’Inter proverà ad alzare l’asticella ancora un po’ per vedere quanto riesce a resistere. Del resto, è tutta una questione di fede.